Il terrorismo e i beni culturali: i Buddha di Bamiyan, i mausolei di Timbuktu e Palmira.

di Emma Albertari

La furia iconoclasta e distruttrice delle manifestazioni artistiche, culturali e religiose di una civiltà non è un prodotto della nostra moderna società industriale e globalizzata, tali eventi si sono infatti verificati da sempre, ovunque ed in contesti sempre diversi, seppur con scopi di volta in volta differenti; è però evidente come i nuovi avanzamenti tecnici facilitino e rendano più dannosi atti del genere.

Negli ultimi vent’anni il terrorismo ha avuto un ruolo di primo piano in quest’ambito, facendosi fautore di alcuni dei più efferati casi di distruzione intenzionale del patrimonio culturale, casi che, vista anche la loro portata mediatica e propagandistica, hanno sconvolto l’intera comunità internazionale.

La distruzione dei Buddha di Bamiyan nel marzo 2001

Uno dei primi atti perpetrati dal terrorismo nei confronti dei beni culturali che ha suscitato scalpore e profonda indignazione tra gli stati e all’interno dell’opinione pubblica è stato la pianificata distruzione delle colossali statue dei Buddha di Bamiyan nei primi mesi del marzo 2001, ad opera della milizia talebana che controllava allora la quasi totalità del territorio afgano. Fu proprio quell’evento che fece catalizzare una volta per tutte l’attenzione della Comunità internazionale sul sempre più attuale problema della distruzione intenzionale del patrimonio culturale. Le due celebri statue misuravano rispettivamente 38 e 53 metri ed erano state realizzate tra il V e il III secolo a.C. scavando la roccia in due nicchie naturali della montagna. Sebbene nel corso dei secoli alcuni regnanti fondamentalisti avessero tentato di abbattere le enormi statue, nessun governo tra i tanti di fede islamica che si succedettero tra il IX e il XX secolo avvertì la necessità di distruggere una testimonianza storico-artistica così unica nel suo genere. La situazione cambiò radicalmente nei primissimi anni del XXI secolo, quando i fondamentalisti islamici talebani al potere criticarono l’idolatria delle statue e ne decretarono la distruzione.[1]

Tale atto era volto al puro annichilimento e svilimento di una cultura e di una religione che non corrispondevano a quella professata dai talebani ed in quanto tali dovevano essere eliminate spiritualmente e cancellate materialmente e visivamente con ogni mezzo a disposizione.
Ciò che colpì particolarmente fu anche la modalità di distruzione delle sculture: questa fu infatti pianificata scrupolosamente, accuratamente annunciata ai media di tutto il mondo e cinicamente documentata in tutte le sue fasi, dalla preparazione alla detonazione, agli ultimi momenti della triste demolizione, assumendo quindi anche un altissimo valore propagandistico.[2]
Nonostante le numerose pressioni del Direttore Generale dell’UNESCO, Kōichirō Matsuura, e del Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, i quali avevano più volte supplicato i Talebani di riconsiderare la loro terribile decisione[3], i primi giorni del tragico marzo 2001 giunse il decreto definitivo del Mullah Mohammed Omar. Il decreto fu seguito dalla sistematica e completa demolizione, accompagnata dall’orgoglio e dagli applausi di milioni di fondamentalisti.

La distruzione del patrimonio culturale di Timbuktu

Un altro dei più noti atti di distruzione del patrimonio culturale da parte di gruppi terroristici fu quello che vide come protagonista la città maliana di Timbuktu, nota anche come “la regina del deserto” ed iscritta nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO sin dal 1998.
La Repubblica del Mali è stata messa in ginocchio dalla guerra civile e dal colpo di Stato militare che l’hanno sconvolta fra il 2012 e il 2013 e da una ripresa degli scontri nella primavera del 2014. L’acme vi fu quando quelle che partirono come proteste sfociarono in delle violente rivolte tra i Tuareg che condussero alla proclamazione dell’indipendenza dello Stato di Azawad (province del nord del paese che reclamavano da anni migliori condizioni)[4]. Tale azione, non riconosciuta da nessun’altra nazione, fu dichiarata dal neonato Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad – MNLA e fu permessa anche grazie all’appoggio garantito al Movimento da alcuni gruppi radicali, come il neonato Ansar Dine, con legami con al-Qaeda nel Maghreb Islamico – AQIM. Questi gruppi di radice islamista presero velocemente e violentemente il potere tentando di instaurare un governo basato su una rigorosa interpretazione della sharia.
Nonostante i precedenti e gli attuali interventi militari internazionali (che hanno lo scopo di contrastare l’ascesa delle milizie islamiche nell’Azawad), il Mali è un paese che continua ad essere in guerra.[5]

Fondata nel V secolo, la città di Timbuktu è stata per secoli uno dei principali centri di diffusione dell’islam e le tre moschee principali, i sedici mausolei e gli innumerevoli sacri luoghi pubblici portano ancora testimonianza di questo prestigioso passato.[6] Le tre moschee sono oggetto di un’attenzione particolare da parte della comunità cittadina, ma sono i sedici mausolei ad essere gli elementi essenziali del sistema religioso della città, in quanto, secondo una credenza popolare, costituiscono un bastione che protegge la città da ogni disgrazia. Infine, i sepolcri dei “santi” sono posseduti da ogni nucleo familiare e vi vengono sepolti i propri parenti defunti. È dunque evidente che per la comunità cittadina, un tale patrimonio abbia una valenza di vitale importanza spirituale (e non solo materiale). Ed è altrettanto evidente che la distruzione di esso, e quindi la conseguente privazione dell’espletamento delle “espressioni culturali” di un popolo, oltre a causare una rilevante perdita materiale, leda, in modo irreversibile, l’integrità fisica, morale e spirituale dello stesso.[7]

A seguito dell’ascesa degli islamisti nel giugno 2012, il gruppo islamico Ansar Dine prese il controllo di Timbuktu. Pochi giorni dopo, il Comitato del Patrimonio Culturale accettò la richiesta avanzata dal governo del Mali di inserire Timbuktu nella lista UNESCO dei beni culturali in pericolo. Fu proprio questa decisione a far scatenare la furia iconoclasta dei leader di Ansar Dine che, a partire dal giorno immediatamente successivo all’inserimento della città nella suddetta lista, iniziarono a distruggere deliberatamente l’intero patrimonio culturale e religioso di Timbuktu. Gli antichi monumenti della città, ed in particolar modo i mausolei, venivano considerati dai fondamentalisti degli edifici idolatri in quanto non consacrati ad Allah, ma a dei santi, quindi a esseri umani; di conseguenza la loro distruzione è stata definita da un portavoce dell’organizzazione terroristica come un “ordine divino”[8]. Qualche giorno dopo vennero brutalmente distrutte anche la porta di ingresso della moschea Sidi Yahia e una delle biblioteche della città.

Tali atti catalizzarono l’interesse dell’intera Comunità internazionale su quanto stesse accadendo in Mali ed in particolar modo sulle sofferenze subite dalla popolazione e dal patrimonio culturale e religioso di Timbuktu; e tutta questa escalation di violenza e disprezzo portò ad una storica sentenza della Corte Penale Internazionale. Questa, sin dal luglio 2012, si era fermamente battuta per prendere un’importante decisione riguardo alla questione della distruzione del patrimonio culturale e tra i presunti crimini perpetrati sul territorio, individuati a seguito delle sue indagini, vennero inclusi anche “intentionally directing attacks against protected objects”[9]. La definitiva sentenza di condanna contro colui che venne individuato come il principale responsabile delle demolizioni e degli attacchi intenzionalmente diretti contro luoghi di culto e monumenti storici, Ahmad al-Faqui al-Mahdi, vi fu nel 2016 e si concluse con una condanna a 9 anni di reclusione[10] essendo stato riconosciuto colpevole di crimini di guerra per aver attaccato i beni protetti individuati dall’Articolo 8(2)(e)(iv) dello Statuto.[11] È doveroso ricordare che la pena venne notevolmente diminuita dal momento che l’imputato ammise subito la sua colpevolezza e dichiarò di essersi pentito delle sue azioni, confermando la veridicità di tutte le accuse.[12]

La follia iconoclasta dello Stato Islamico

Una chiara e triste dimostrazione di quanto i moderni avanzamenti tecnici stiano giocando un ruolo fondamentale anche nella distruzione del patrimonio culturale sono gli abusi che questo ha ricevuto, specialmente in medio-oriente, negli ultimi 6 anni ad opera dell’ormai noto stato Islamico, autoproclamatosi ufficialmente nel giugno 2014. Da quando il Califfato ha fatto il suo esordio negli scenari mediorientali, ma non solo, gli episodi di distruzione intenzionale del patrimonio culturale da questo effettuati non hanno fatto che crescere e diventare sempre più studiati ed orchestrati maestralmente. È evidente come lo Stato Islamico si sia reso conto di quanto forte sia l’identificazione di un popolo nel proprio patrimonio culturale, artistico e religioso e di quanto esso rappresenti un ferreo fattore di coesione della comunità a cui appartiene; ed è proprio per questo motivo che sempre più spesso si tende a colpire l’identità dell’avversario, distruggendo i simboli in cui esso si riconosce ed aggiungendo così alla sua distruzione materiale, anche e soprattutto quella morale che risulta poi essere di più difficile restaurazione.[13]

Uno dei primissimi atti di violenza portati avanti dallo Stato Islamico ai danni del patrimonio culturale ebbe come teatro la Siria e si trattò della distruzione dell’antica città di Palmira nell’agosto del 2015 e della contemporanea uccisione del direttore degli scavi del sito stesso, Khaled al-Asaad. Vennero lì fatti saltare in aria con svariati chili di esplosivo i templi di Baalshamin e di Bel e venne demolita la statua della Dea Allat presente nel museo. La stessa sorte toccò nello stesso anno al toro androcefalo della città di Nimrud, all’archivio di Ebla (piccola città non lontana da Palmira) e all’antico sito assiro di Niniveh in Iraq.[14] Nonostante i tentativi di restauro dei vari beni distrutti o gravemente danneggiati, tali atti infliggono alla popolazione e al territorio ferite profonde e difficilmente rimarginabili, colpendo le manifestazioni tangibili della loro più pura tradizione culturale e spirituale che sarà difficilmente ricostituibile.

Questi atti dispregevoli hanno condotto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare nel 2017 la Risoluzione 2347, la prima a focalizzarsi interamente sul patrimonio culturale, a conferma dell’importanza del legame tra la tutela del patrimonio stesso e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.[15] Avendo quindi preso nota di tutte le tragiche vicende verificatesi, in particolar modo, nei due anni precedenti al 2017 e che avevano avuto come principali vittime anche i beni culturali, la Risoluzione è finalmente giunta a condannare le indiscriminate distruzioni del patrimonio e il saccheggio dei siti archeologici durante i conflitti armati. Questa Risoluzione è veramente storica perché, per la prima volta, la difesa dei beni culturali diventa un elemento essenziale nella risoluzione dei conflitti e nella lotta al terrorismo; già precedentemente l’UNESCO aveva adottato risoluzioni, ma questo mai era diventato un tema centrale nel processo di peace-building e soprattutto di contrasto al terrorismo da parte delle Nazioni Unite.

[1] F. GIOIA, I Buddha di Bamiyan: la guerra che distrugge l’arte, in Rubrica Letteraria del Club del Libro, 14 novembre 2015, online all’indirizzo https://www.ilclubdellibro.it/rubrica-letteraria/732-dentro-il-libro-i-buddha-di-bamiyan-la-guerra-che-distrugge-arte.html .

[2] F. LENZERINI, La distruzione intenzionale del patrimonio culturale come strumento di umiliazione dell’identità dei popoli, in L. ZAGATO (a cura di), Le identità culturali nei recenti strumenti UNESCO. Un approccio nuovo alla costruzione della pace, Venezia, 2008, (pp. 5-6).

[3] F. FRANCIONI – F. LENZERINI, The destruction of the Buddhas of Bamiyan and International law, in European Journal of International Law, 2003, (p. 621).

[4] Tuareg rebels declared the independence of Azawad, north of Mali, in Al-Arabiya, 6 aprile 2012, online all’indirizzo https://english.alarabiya.net/articles/2012/04/06/205763 .

[5] K. BRANSON – H. WILKINSON, Analysis of the crisis in northern Mali, in M. TREMOLIERES (a cura di), OECD West African Studies, 2013.

[6] Vedi UNESCO (a cura di), Timbuktu, online all’indirizzo https://whc.unesco.org/en/list/119 .

[7] F. MUCCI, La diversità del patrimonio e delle espressioni culturali nell’ordinamento internazionale. Da ratio implicita a oggetto diretto di protezione, Napoli, 2012, (p. 280).

[8] Islamist fighters in Timbuktu continue destruction of city’s mausoleums, heritage, in National Post, 2 luglio 2012, online all’indirizzo https://nationalpost.com/news/islamist-fighters-in-timbuktu-continue-destruction-of-citys-mausoleums-heritage .

[9] ICC (a cura di), ICC Prosecutor opens investigation into war crime in Mali: “The legal requirements have been met. We will investigate, 16 gennaio 2013, online all’indirizzo https://www.icc-cpi.int/Pages/item.aspx?name=pr869&ln=en .

[10] Vedi https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2017/09/Scarica-la-sentenza-ENG.pdf .

[11] Sezione II(A)(1)(11) (Applicable law) della sentenza della Corte Penale Internazionale del 27 settembre 2016, online all’indirizzo https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2017/09/Scarica-la-sentenza-ENG.pdf .

[12] F. LIMARDO – I crimini contro i Beni Culturali: dalla condanna di al-Mahdi ai crimini culturali in Medio Oriente, in Diritto Internazionale in Civica, 6 giugno 2017, online all’indirizzo https://dirittointernazionaleincivica.wordpress.com/2017/06/06/i-crimini-contro-i-beni-culturali-dalla-condanna-di-al-mahdi-ai-crimini-culturali-in-medio-oriente/ .

[13] E. FRANCHI – Terrorismo e beni culturali, comunicare il terrore, in LaRicerca, 25 maggio 2015, online all’indirizzo https://laricerca.loescher.it/terrorismo-e-beni-culturali-1-comunicare-il-terrore/ .

[14] S. MALAMOCCO – La distruzione delle opere artistiche con le guerre, il terrorismo, l’incuria e gli eventi naturali, in Geograficamente, conservazioni e trasformazioni virtuose del territorio, 20 settembre 2016, online all’indirizzo https://geograficamente.wordpress.com/2016/09/20/la-distruzione-delle-opere-artistiche-con-le-guerre-il-terrorismo-lincuria-e-gli-eventi-naturali-le-distruzioni-in-siria-dellisis-il-venir-meno-del-patrimonio-artistico-mondiale/

[15] Risoluzione 2347 del CdS delle Nazioni Unite, 24 marzo 2017, online all’indirizzo https://undocs.org/Home/Mobile?FinalSymbol=S%2FRES%2F2347(2017)&Language=E&DeviceType=Desktop .

Menu