Marcel Duchamp e la seduzione della copia

Marcel Duchamp and the Lure of the Copy

Ad un mese dalla fine dell’estate, i venti autunnali hanno scandito il nuovo ciclo di mostre e fiere in tutta Italia. A Venezia, in particolare, ha aperto al pubblico la prima mostra della Collezione Peggy Guggenheim dedicata esclusivamente a Marcel Duchamp, consigliere, guida e amico dell’eccentrica collezionista, oltre che uno dei più celebri e influenti artisti del XX secolo. L e sue invenzioni hanno movimentato le più importanti correnti del tempo e hanno posto le fondamenta dell’arte concettuale con una provocatoria messa in discussione del l’estetica attraverso cui è riuscito a influenzare radicalmente il concetto stesso di arte e motivo per il quale è universalmente considerato tra i padri dell’arte contemporanea.

A cura di Paul B. Franklin, noto storico, accademico ed esperto della vita e dell’opera di Duchamp, che ha realizzato diverse rilevanti pubblicazioni sull’artista e ha collaborato per la gestione di parte del patrimonio artistico nelle mani degli eredi, propone in questa occasione un percorso di oltre 60 opere realizzate dal 1911 al 1968, dove si rende evidente il pensiero filosofico disobbediente dell’artista.

Il titolo della mostra fa riferimento a una delle convenzioni che l’artista ha messo più fortemente in discussione: la feticizzazione dell’opera originale e il disprezzo del valore della riproduzione. Il piacere estetico di queste sale risiede proprio nella particolarità degli interventi dell’arista su alcune dei dipinti più iconiche della storia dell’arte occidentale, sulla propria produzione e sulla propria identità. Lungi dal celebrare la copia come copia fine a sé stessa, questa mostra esplora i molteplici approcci che Duchamp ha adottato per duplicare la sua opera, attraverso pezzi che fanno parte della collezione Peggy Guggenheim e importanti prestiti da istituzioni italiane e collezioni illustri come quella di Attilio Codognato a Venezia.

In apertura, la prima sala contestualizza le origini dell’artista. Partendo dal rapporto con i fratelli Jacques Villon, Duchamp-Villon (Raymond), Suzanne, Yvonne e Magdeleine, da lui adorati e che furono fonte di ispirazione per le opere esposte, che rivelano scene di vita familiare quotidiana. Seppure influenzate dall’impressionismo, l’esplorazione tecnica e stilistica in queste prime opere sono un fatto secondario; in realtà, la vita quotidiana rappresentata e la vicinanza con i familiari delucidano il rapporto paterno con le sue opere e i legami di “somiglianza di famiglia” che ha creato tra loro. Questo spiega l’intenzione dell’artista di presentarle nel loro insieme e la saggia decisione del curatore di mostrare le sottigliezze di ogni intervento, configurando un allestimento che esalta il valore di ogni pezzo in relazione ai suoi simili.

Il percorso curatoriale prosegue con la conservazione e la compilazione della produzione dell’artista, che ha dato origine ad uno dei lavori più interessanti qui presentati: La Boîte-en-valise. Questo innovativo inventario di riproduzioni e miniature delle opere di Duchamp è la sintesi più coinvolgente da lui mai creata, esemplificativa della passione per la replica come modalità di espressione creativa, come sostenuto da B. Franklin. È affascinante come i processi e le tecniche artigianali ormai obsolete dell’epoca siano evidenti in tutto il percorso, dando conto della lettura mistica e del significato profondo rivelato nelle opere-scatola, che divennero il suo biglietto da visita nel periodo del Dopoguerra, quando il fermento artistico negli Stati Uniti era in piena espansione.

Le annotazioni presenti nelle opere rivelano le idee alla base delle creazioni visive e l’intenzione dell’artista di mettere la pittura al servizio della mente, perché secondo lui “la pittura dovrebbe rivolgersi alla materia grigia della nostra comprensione piuttosto che essere puramente visiva”. In questo modo la magia dei facsimili – titolo di una sezione successiva – si spiega nei particolari delle creazioni artistiche presenti, esaminate attraverso l’attenta scomposizione da un esemplare appartenuto a uno dei fratelli dell’artista alla copia dell’edizione deluxe di Sur. Marcel Duchamp appartenente a Peggy, molto importante per essere stata la prima monografia e catalogo dedicato all’artista a cui partecipò attivamente, realizzando tre opere correlate in parallelo.

Un tema molto interessante della mostra riguarda l’approccio dell’artista all’esplorazione e allo sfruttamento della propria corporeità, incarnando un’identità drag con il suo personaggio Rose Sélavy. Con questo atto, assolutamente innovativo per i suoi tempi, fa quello che nessun artista uomo ha mai fatto prima: mettere fermamente in discussione le imposizioni di genere attraverso la propria identità. Queste imposizioni, che aveva già criticato nella sua reinterpretazione della Monalisa, sono raccontate in modo affascinante, esponendo l’approccio dell’artista all’opportunità di copiare autenticamente la propria umanità come un potente artefatto per il discernimento.

Uno dei punti di forza della mostra è senza dubbio il meraviglioso uso del digitale. Questo, da un lato sposta i limiti fisici di alcuni pezzi verso un aspetto più psicologico, così da focalizzare lo sguardo sul carattere ipnotico di alcune opere che producono questo fenomeno, esaminando la stimolazione all’equilibrio del sistema nervoso ricercato dall’artista. D’altra parte, il progetto scientifico dal titolo Marcel Duchamp: un viaggio nella Boîte en valise , curato dal dipartimento di conservazione della collezione diretto da Luciano Pensabene Buemi in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze*, presenta non solo l’unità dell’opera, così come concepito dall’artista, ma la scomposizione di ciascuno dei sessantanove elementi contenuti nella struttura completa; si manifesta quindi, la capacità degli esperti che, a diversi livelli, intervengono sull’opera per lo studio e per l’analisi della stratificazione del suo contenuto, attraverso la modellazione virtuale dell’oggetto.­­­

Si conclude così, in modo pertinente, una mostra che parla di riproduzione in un’epoca in cui i sistemi digitali stanno diventando sempre più complessi e in cui i confini tra l’originale e la copia, il vero e il falso, solcati per la prima volta da Duchamp e che oggi stanno trasformando potentemente il nostro modo di comunicare con la produzione di meme, la realtà virtuale, la stampa 3D, gli NTF, gli avatar e l’IA.

* Il Guggenheim di Venezia, su indicazione dell’Opificio delle Pietre Dure, ha affidato alla società Culturanuova la progettazione dell’allestimento della sala scientifica e la realizzazione degli strumenti multimediali di questa mostra.

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